martedì 10 marzo 2015

Appia Antica, terra di visioni


Articolo tratto da coreonline.it

Tra storia, mito e tradizioni popolari: le “visioni” di Annibale e San Pietro presso il II miglio della “regina viarum”

Studiare la storia dell’Appia Antica significa tuffarsi in un passato che varia dalla Roma Repubblicana fino all’epoca medievale. Dietro mausolei, templi, catacombe si celano le testimonianze di epoche lontane ma anche di leggende, credenze e tradizioni popolari che, alla pari degli eventi storiograficamente accertati, hanno lasciato un segno nel nostro passato. Un esempio ci è fornito da due “casi” molto simili tra loro, avvenuti in epoche diverse ma sul medesimo luogo: le “visioni” del grande condottiero cartaginese Annibale Barca e dell’apostolo Pietro. Entrambe ebbero presumibilmente luogo presso il II miglio dell’antica via Appia, il tratto che dalla chiesa del Domine Quo Vadis? giunge fino al mausoleo di Romolo, figlio di Massenzio.

Come è noto Annibale guidò le truppe cartaginesi durante la Seconda Guerra Punica (218-202 a.C.). Luigi Canina, nel suo “La prima parte della via Appia” (1853) , nel capitolo riguardante la Aedicula Rediculi, tratta della leggenda che riguarda l’eroe cartaginese. Riprendendo alcuni passi, risalenti al IV secolo, di Rufio Festo, si narra di Annibale che, giunto alle porte di Roma nei pressi della via Appia, pur trovandosi in condizioni favorevoli all’attacco, rinunziò all’offensiva. A farlo desistere fu la terribile apparizione del dio Redicolo (una divinità che proteggeva il ritorno ai romani che lasciavano la città) che lo impaurì tanto da spingerlo alla ritirata. La leggenda vuole anche che, negli anni a venire, in quel luogo sorgesse il tempio di questa divinità, eretto, per dirla come il De’ Ficoroni, “in disprezzo d’Annibale Cartaginese che senza profitto venuto col suo esercito a tre miglia vicino a Roma , se ne ritornò in dietro” (“Le vestigia e rarità di Roma Antica” Francesco De’ Ficoroni, 1744). Ancora oggi non è certa la collocazione del tempietto che, per alcuni storici (come l’archeologo Lorenzo Quilici in “Antichità della campagna romana” 1987), potrebbe coincidere con il sepolcro di Annia Regillia, situato nella vicinissima via della Caffarella. Ma già Famiano Nardini, nella sua “Roma Antica” (1818), mette in dubbio tale ubicazione, chiamando in causa un’altra antica testimonianza, quella di Plinio, che individua la Aedicula Rediculi a due miglia da Porta Capena sul lato destro dell’Appia (e non sinistro, come la tomba di Annia Regillia).

 
In realtà, conoscendo l’innata ironia dei romani, è tutta da confermare la preesistenza del culto di questo dio Redicolo. Lo stesso nome potrebbe avere un duplice, e ironico, significato: da “redeo”, ritornare, che potrebbe alludere al “felice ritorno” di Annibale di certo non a Roma, bensì in Africa, oppure da “ridiculus”, ridicolo, come tutta la vicenda del dio che mise clamorosamente in fuga le truppe cartaginesi. Quanto ci sia di vero in questa “terribile apparizione” poco importa, anche se non ci dispiace immaginare che le sorti della Seconda Guerra Punica siano state decise da un “brutto scherzo divino”.

Molto più conosciuta è la vicenda che riguarda l’apostolo Simone, il pescatore di Betsaida, meglio noto come San Pietro. Nonostante si tratti del fondatore della Santa Romana Chiesa, la leggenda del Domine Quo Vadis? è, per certi versi, più facile da sconfessare rispetto alla suddetta visione di Annibale. All’indomani del grande incendio di Roma (64 d.C.), e delle conseguenti persecuzioni neroniane ai danni delle minoranze cristiane nei due anni successivi, Pietro fuggiva da Roma lungo la via Appia quando, poco dopo aver varcato le mura, incontrò in visione Gesù che con il suo celebre “Venio Romam iterum crucifigi” spinse l’apostolo a tornare in città e ad affrontare il martirio.

 
Come ci ricorda la storica Lucrezia Spera in “Il paesaggio suburbano di Roma dall’antichità al Medioevo” (1999) , la fonte più antica di questa “visione” è chiaramente quella degli Atti apocrifi di Pietro, redatti forse nel II secolo e sicuramente completati da Lino nel IV secolo. La vicenda è legata all’antica chiesa del Domine Quo Vadis?, la cui prima menzione risale almeno intorno all’anno 1000. Non è da escludere che questa piccola chiesa possa essere sorta proprio sopra alla già citata Aedicula Rediculi. Nel tempo tale ipotesi è stata avvalorata dalla presenza di una singolare riproduzione di due piedi incisi su un marmo trovato all’interno della chiesa, in cui ora vi è rimasta solo una copia (il frammento originale si trova nella vicina chiesa di S.Sebastiano). Per secoli la credenza popolare cristiana ha voluto che quelle impronte fossero state lasciate da Gesù Cristo nel momento della sua apparizione al fuggitivo apostolo e quindi adorate in quanto tali.


In realtà quelle impronte dovrebbero ricondursi a un ex voto proveniente da uno degli innumerevoli santuari della zona e, perché no, dedicato al dio del “buon ritorno” per un viaggio andato a buon fine. Verrebbe da dire che il fantomatico dio Redicolo, oltre a farsi beffe del temibile Annibale, abbia riservato un brutto scherzo anche a Gesù e al suo più illustre apostolo Pietro.
 


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