In occasione del 95° anniversario ripercorriamo la formazione del primo nucleo dell’ex borgata e la scomparsa dei lotti I e IV nei primi anni ’60
Tratto da coreonline.it
La borgata sorta sulla roccia di San Paolo compie novantacinque anni. La memoria torna sempre a quel 18 febbraio 1920 e alla visita del re Vittorio Emanuele III che inaugurò i lavori con la posa della prima pietra. Tre anni dopo quella cerimonia si concretizzò uno degli esperimenti più felici dell’architettura romana pre-fascista. Ma il capolavoro che contornava il “pincetto” ci è pervenuto solo per metà, vittima degli scempi edilizi che sconvolsero le periferie romane dei primi anni ’60.
Le premesse storiche della nascita della Garbatella sono note e ancora oggetto di studio a distanza di un secolo. In esse è possibile riconoscervi tutte le “buone intenzioni”, almeno sulla carta, dell’Istituto Case Popolari che, dalla legge Luzzatti, approvata nel 1903, cercò di conferire un’impronta sociale alla nuova edilizia destinata alla classe operaia. Direttive che, insieme al grande progetto dell’ingegnere Paolo Orlando di una città industriale volta “alla conquista del mare”, sarebbero state accantonate sul nascere con l’entrata in scena del regime fascista. Resta tuttavia un’analisi a sé stante quella riguardante la Garbatella originaria, vera testimonianza di una Roma che poteva essere e che non è mai stata.
I lavori riguardanti il primo nucleo abitativo durarono all’incirca tre anni e terminarono del tutto nel 1923. Intorno al piazzale intitolato al generale e politico torinese Benedetto Brin, sorsero precisamente 44 fabbricati, i quali prevedevano 170 alloggi su un terreno di 35000 mq. Tra questi era possibile distinguere almeno cinque edifici di maggior mole (tra cui quello centrale che domina la piazza) mentre i restanti presentavano dimensioni minori, con divisione orizzontale o verticale. È sconcertante dover constatare che ben ventuno di queste palazzine siano state demolite del tutto quarant’anni dopo la loro costruzione. Trattasi rispettivamente di dodici fabbricati del lotto I e nove del lotto IV, che si trovavano ai lati della fontana posta al centro del piazzale, dove attualmente vi sono le due aree verdi intitolate a Maurizio Arena e a Marcella e Maurizio Ferrara.
Trovare notizie dettagliate negli archivi della stampa dell’epoca non è agevole: a cavallo tra gli anni ’50 e ’60 Roma si fece e si disfece costantemente. Gli interventi nelle vecchie borgate, sorte spontaneamente prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale, come la vicinissima “shangai”, erano all’ordine del giorno. Se però le aree più disagiate, segnate dai continui allagamenti, incendi, o da condizioni igieniche molto critiche, necessitarono un certo tipo di interventi, riesce difficile immaginare che in un angolo incantato e fuori dal tempo come piazza Brin, dove il tardo liberty si incontra con quello che venne poi battezzato “barocchetto romano”, si dovessero abbattere una ventina di palazzine a due piani.
Stando alle ricerche dei più autorevoli studiosi del quartiere, come Gianni Rivolta e Cosmo Barbato, lo scempio di piazza Brin avvenne con l’aprirsi degli anni ’60. Ed è proprio dagli articoli di quest’ultimo, pubblicati in “Cara Garbatella”, che emerge il “caso” del Banco di Santo Spirito. Secondo Barbato si trattò di un sospetto accordo tra il Banco e l’ICP, dietro al quale si celava l’ennesimo tentativo di speculazione edilizia che costò la demolizione dei due lotti storici (forse, per comodità, considerati pericolanti) alla quale avrebbe dovuto far seguito la costruzione di nuove palazzine, destinate ai funzionari dello stesso Santo Spirito. Oltre alle accese proteste dei residenti, determinante fu l’intervento dei vecchi proprietari terrieri, i Grazioli, i quali dovettero ribadire che la destinazione con cui avevano ceduto le loro terre era finalizzata alla costruzione delle case per la classe lavoratrice.
Il caso della Garbatella fu un brutto affare che merita di essere contestualizzato. In quegli anni la Capitale non respirava di certo una buona aria, stretta nella morsa del sindaco democristiano Urbano Cioccetti (eletto nel 1958 grazie anche ai voti del MSI) e della sua giunta, che esordì con l’autorizzazione dei lavori per lo scempio edilizio dell’Hilton sopra Monte Mario e che contribuì non poco alla selvaggia urbanizzazione che ancora oggi viene ricordata come l’ultimo “sacco di Roma”. Congiuntamente va evidenziata la maldestra politica messa in atto dai vertici dello stesso ICP che già nel 1959 vendette a prezzi irrisori intere zone periferiche a diversi istituti religiosi, etichettate ironicamente dalla stampa dell’epoca le “termiti clericali” che divoravano la città.
Tornando a piazza Brin, fortunatamente le case del Santo Spirito non vennero edificate ma il danno ormai era fatto. Laddove si affacciavano il I e il IV lotto restarono per molto tempo le macerie delle demolizioni e solo alla metà degli anni ’90 un progetto di riqualificazione trasformò le due aree nei parchi che oggi conosciamo. Ma resta comunque un vuoto nella storia primordiale della Garbatella. Di quei due lotti ci sono rimaste solo le fotografie e le memorie di chi c’era e di chi, in quel lontano 1960, dovette lasciare casa per andare altrove.
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