martedì 2 luglio 2013

L’eredità bizzarra del casale "Garibaldi"




Viale Leonardo da Vinci, quartiere San Paolo. Tra le costruzioni di evidente edificazione fine anni ’50, spunta come un fungo un casale, un elemento di rottura con l’ambiente circostante, una testimonianza del passato “sopravvissuto” al grigiore della nostra storia contemporanea.
Nelle carte ufficiali il casale, denominato “Garibaldi”, compare per la prima volta nel catasto registrato sotto Pio VII nel biennio 1818-19, in base al quale risultano enfiteuti della struttura i monaci Cassinesi della vicina Basilica di San Paolo. L’intera area non presentava nuclei abitativi importanti ma era suddivisa in appezzamenti di terra tra i diversi casali dislocati nella zona, come quelli dei Morelli e dei Matteini e, laddove il terreno non paludoso lo consentiva, le attività principali si rivolgevano principalmente al pascolo e alla coltura delle vigne.
La storia del casale Garibaldi è legata fantasiosamente alle vicende dei moti rivoluzionari del 1867 quando la Roma papalina non era ancora stata unificata al neonato Regno d’Italia. Per decenni la credenza popolare ha voluto che l’Eroe dei due Mondi, Giuseppe Garibaldi, avesse pernottato nel casale in quelle tragiche notti di ottobre. In realtà, come risulta dalle preziose ricerche dei primi anni ’80 della storica Vittorina Novara, non fu il casale di viale Leonardo da Vinci ad essere al centro di quelle vicende bensì la scomparsa Vigna Matteini, in quei giorni vera e propria armeria delle forze garibaldine poi scoperta dall’esercito controrivoluzionario, situata a poche decine di metri, vicino l’antica via delle Statue (l’odierna via Silvio D’Amico). Questa versione dei fatti testimonia quindi un’eredità storica, quella del casale “Garibaldi”, sicuramente bizzarra e immeritata ma contemporaneamente affascinante.
Con l’aprirsi del “secolo breve” l’intera area intorno al casale subì mutamenti importanti. Proprio sulla collina su cui poggiava la struttura, sorse il primo nucleo abitativo della zona che, ben presto, prese il nome dalla famiglia più in vista: i Volpi. Fu proprio Augusto Volpi, nel 1907, a rilevare il casale, che fronteggiava la sua abitazione, e a farne una gioiosa e caratteristica trattoria, che prese ovviamente il suo nome. Per capire anche l’assetto geografico in cui inquadrare il casale, occorre ricordare che il viale Leonardo da Vinci non era ancora stato costruito. Furono proprio le demolizioni degli anni ’50 a separare fisicamente il casale dalla Collina Volpi. A farne le spese fu proprio l’abitazione della famiglia Volpi, che venne demolita. Occorre anche ricordare i passaggi successivi alla gestione dei Volpi, che cedette la trattoria alla famiglia Giacobbi nel 1918, per poi diventare definitivamente parte del demanio pubblico in pieno fascismo, nella metà degli anni ’30. Da allora il casale entrò in un triste anonimato strascinatosi fino ai recenti anni ’90. Soffocata dal grigiore dei palazzi di nove piani, questa affascinante struttura si trova ancora lì e, dopo essere stata testimone di innumerevoli “stornellate” da osteria di fuori porta, ospita da dieci anni una delle realtà più presenti e felici del territorio, la Città dell’Utopia, gestita dal Servizio Civile Internazionale. Un tipico esempio raro di quando la memoria sopravvive e rende vivi i nostri quartieri. (tratto da coreonline.it)

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