Viale Leonardo da Vinci,
quartiere San Paolo. Tra le costruzioni di evidente edificazione fine anni ’50,
spunta come un fungo un casale, un elemento di rottura con l’ambiente
circostante, una testimonianza del passato “sopravvissuto” al grigiore della
nostra storia contemporanea.
Nelle carte ufficiali il casale,
denominato “Garibaldi”, compare per la prima volta nel catasto registrato sotto
Pio VII nel biennio 1818-19, in base al quale risultano enfiteuti della
struttura i monaci Cassinesi della vicina Basilica di San Paolo. L’intera area
non presentava nuclei abitativi importanti ma era suddivisa in appezzamenti di
terra tra i diversi casali dislocati nella zona, come quelli dei Morelli e dei
Matteini e, laddove il terreno non paludoso lo consentiva, le attività
principali si rivolgevano principalmente al pascolo e alla coltura delle vigne.
La storia del casale Garibaldi è
legata fantasiosamente alle vicende dei moti rivoluzionari del 1867 quando la
Roma papalina non era ancora stata unificata al neonato Regno d’Italia. Per
decenni la credenza popolare ha voluto che l’Eroe dei due Mondi, Giuseppe
Garibaldi, avesse pernottato nel casale in quelle tragiche notti di ottobre. In
realtà, come risulta dalle preziose ricerche dei primi anni ’80 della storica Vittorina
Novara, non fu il casale di viale Leonardo da Vinci ad essere al centro di
quelle vicende bensì la scomparsa Vigna Matteini, in quei giorni vera e propria
armeria delle forze garibaldine poi scoperta dall’esercito
controrivoluzionario, situata a poche decine di metri, vicino l’antica via
delle Statue (l’odierna via Silvio D’Amico). Questa versione dei fatti
testimonia quindi un’eredità storica, quella del casale “Garibaldi”,
sicuramente bizzarra e immeritata ma contemporaneamente affascinante.
Con l’aprirsi del “secolo breve” l’intera
area intorno al casale subì mutamenti importanti. Proprio sulla collina su cui
poggiava la struttura, sorse il primo nucleo abitativo della zona che, ben
presto, prese il nome dalla famiglia più in vista: i Volpi. Fu proprio Augusto
Volpi, nel 1907, a rilevare il casale, che fronteggiava la sua abitazione, e a
farne una gioiosa e caratteristica trattoria, che prese ovviamente il suo nome.
Per capire anche l’assetto geografico in cui inquadrare il casale, occorre
ricordare che il viale Leonardo da Vinci non era ancora stato costruito. Furono
proprio le demolizioni degli anni ’50 a separare fisicamente il casale dalla Collina
Volpi. A farne le spese fu proprio l’abitazione della famiglia Volpi, che venne
demolita. Occorre anche ricordare i passaggi successivi alla gestione dei
Volpi, che cedette la trattoria alla famiglia Giacobbi nel 1918, per poi
diventare definitivamente parte del demanio pubblico in pieno fascismo, nella
metà degli anni ’30. Da allora il casale entrò in un triste anonimato strascinatosi
fino ai recenti anni ’90. Soffocata dal grigiore dei palazzi di nove piani,
questa affascinante struttura si trova ancora lì e, dopo essere stata testimone
di innumerevoli “stornellate” da osteria di fuori porta, ospita da dieci anni
una delle realtà più presenti e felici del territorio, la Città dell’Utopia,
gestita dal Servizio Civile Internazionale. Un tipico esempio raro di quando la
memoria sopravvive e rende vivi i nostri quartieri. (tratto da coreonline.it)
Nessun commento:
Posta un commento