Guerra, miseria e abbandono: le vicissitudini del forte più “sfortunato” del sistema difensivo di fine ’800
Tratto da coreonline.it
Nascosto, poco più di un rudere coperto da una fitta vegetazione. Eppure dietro quella macchia verde che domina il parco a ridosso del centro commerciale “I Granai” si trova il Forte Ardeatino, o Ardeatina, una delle quindici fortezze costruite intorno alla campagna romana nella seconda metà dell’800.
Difendere Roma Capitale. All’indomani della breccia di Porta Pia le nuove autorità governative dovettero affrontare il problema della difesa della nuova Capitale del Regno. Seguendo un modello molto diffuso in Germania e Francia, venne approvato il sistema del “campo trincerato”: furono costruiti 15 forti, e 4 batterie, equidistanti tra loro e disposti ad anello intorno a tutta la campagna romana, creando una sorta di città fortificata che si estendeva nel raggio di 40 km circa.
Il Forte Ardeatino fu costruito tra il 1879 e il 1882 e costò al nuovo Stato Unitario poco più di un milione di lire. Progettato in stile prussiano, è il forte situato più a sud del campo trincerato romano. Una prima curiosità riguarda la sua ubicazione rispetto alla via dalla quale prende il nome, l’Ardeatina. Per rispettare i criteri di equidistanza tra le vicine fortificazioni Ostiense e Appia, il forte dovette essere collocato più ad ovest, presso la via di Grotta Perfetta, già esistente ma poco più di una stradina “fuori porta”. Il paesaggio circostante non presentava agglomerati urbani rilevanti se si escludono le vigne dello scomparso Casale Baffoni e alcune casette del vicolo dell’Annunziatella.
La scelta del campo trincerato, seppur considerato innovativo per l’epoca, si rivelò ben presto una soluzione inefficace. Già in occasione del primo conflitto mondiale, le nuove artiglierie a lunga gittata e la scelta dell’utilizzo delle truppe d’assalto, evidenziarono la vulnerabilità dei forti prussiani, soprattutto nelle vicende belliche in terra tedesca. Di conseguenza, negli anni compresi tra le due guerre, i forti furono adibiti a depositi militari o caserme (alcune, come il vicino Forte Ostiense, svolgono ancora detta funzione).
Una rara testimonianza. Contrariamente a molti suoi “simili”, sul Forte Ardeatino si è scritto pochissimo, come se la storia non l’avesse mai sfiorato. In soccorso ci viene, invece, un’interessante autobiografia scritta da Franco Moscogiuri e intitolata “Il bambino del Forte” (2014, produzione riservata). La sua è la storia di un ragazzino, figlio del magazziniere responsabile del Forte Ardeatino, che scorrazzava tra il ponte levatoio e la pineta della tenuta di Grotta Perfetta. Nel raccontare la sua infanzia Moscogiuri ripercorre i momenti salienti degli anni a cavallo della II G.M., dalla dichiarazione di guerra ascoltata alla radio nel piazzale del forte fino alla liberazione del giugno ’44 e la fuga delle truppe nazifasciste.
Nella sua opera Moscogiuri racconta anche, non senza ironia, la visita di Benito Mussolini al Forte Ardeatino. L’autore-bambino (che non specifica la data della visita ma si evince facilmente che sia successiva al 1940) ricorda la frenetica preparazione dei soldati e la sua insofferenza nel dover attendere in casa ’sto Duce invece di andare a giocare nella pineta. Singolare è la descrizione che fa di Mussolini: “…avanzava tronfio e impettito verso l’ingresso del Forte ostentando un aspetto marziale che però, a causa dei continui inciampi sull’acciottolato diseguale e sconnesso, risultava alquanto goffo. Ne rimasi un po’ deluso; su quel viottolo io d’estate ci correvo scalzo!”
La fame, le ispezioni nazifasciste, il Forte Ardeatino in mano ai tedeschi. Moscogiuri tratta brevemente anche l’episodio dell’esplosione del forte messa in atto dalle truppe nazifasciste in fuga verso nord. La deflagrazione della “santabarbara”, in quei primi giorni di giugno del ’44, e la conseguente distruzione della struttura esterna del forte saranno, nei decenni successivi, la causa principale del suo totale abbandono e del suo difficile recupero.
Abbandono e misera. Nell’immediato dopoguerra Roma era, per buona parte, da rifare. Poco dovette importare il recupero di un rudere posto all’estrema periferia meridionale della città. Non bastò il PRG del ’62 (che designò la struttura come N, verde pubblico) a cambiare le sorti del forte che, negli anni a venire, divenne luogo di insediamenti di fortuna, in cui si sono succedute intere generazioni di sfollati senza dimora.
Non mancarono episodi di “cronaca nera”, come quello dell’ottobre del 1959 quando la polizia irruppe nel forte diventato una sorta di bisca clandestina. Nell’inserto romano de “L’Unità” venne descritta nei dettagli la retata: poliziotti camuffati da cacciatori si calarono nel fossato eludendo le vedette, sorpresero i giocatori d’azzardo e sequestrarono una cospicua somma di denaro per l’epoca, cinquecentomila lire. Purtroppo al forte è legata anche la disgrazia avvenuta in una notte di settembre del 1980 quando un incendio divampò al suo interno uccidendo un contadino di 71 anni.
Un lento recupero. Nel 1982 il Forte Ardeatino passò definitivamente sotto la gestione del Comune ma il degrado della struttura e dell’area circostante proseguì, e peggiorò sensibilmente, fino ai primi anni 2000. Fu proprio in occasione dell’anno giubilare che un incendio devastò una parte della pineta, mettendo a nudo quello che per anni la vegetazione aveva nascosto: una discarica. Una folta schiera di volontari del WWF, già attivi per la salvaguardia della vicina tenuta di Tor Marancia, iniziò a prendersi cura del parco con iniziative pubbliche e segnalazioni alle autorità locali. Nel 2002 prese vita un Comitato per il Parco del Forte Ardeatino che contribuì notevolmente a sensibilizzare la cittadinanza al problema del recupero dell’area.
Negli anni molti risultati sono stati raggiunti, come la bonifica intorno al forte e la costruzione di un’area dedicata ai bambini. Sventata, o in parte contenuta, la minaccia del nuovo quartiere I-60, resta solo il recupero della struttura del Forte Ardeatino, forse il più “sfortunato” del campo trincerato romano.
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