mercoledì 15 luglio 2015

La “cronaca” dell’incendio della basilica di San Paolo


Una lettura particolare, una sorta di “reportage” pubblicato nel 1845, sui fatti risalenti alla notte del 15 luglio 1823 quando un incendio colposo causò la distruzione della basilica sulla via Ostiense



Tratto da coreonline.it

La basilica di San Paolo ha una storia che affonda le radici intorno al III e IV secolo d.C. Eppure l’odierna e sontuosa costruzione che, per dimensione, è seconda solo alla “sorella maggiore” di San Pietro, è di recente edificazione, i cui lavori di ristrutturazione terminarono solo nel 1928, alla vigilia dei Patti Lateranensi. La vecchia basilica, sorta sulla tomba di Paolo Di Tarso sotto gli imperatori Teodosio, Graziano e Valentiniano II, fu distrutta da un incendio nella notte tra il 15 e il 16 luglio del 1823, mandando in fumo quattordici secoli di storia.


All’indomani di quei fatidici fatti di luglio vi fu un vero e proprio risveglio di interesse storico, archeologico e urbanistico nei confronti della basilica di via Ostiense. Molti studiosi, come Carlo Fèa e Stendhal, colsero l’occasione per ripercorrere la storia del vecchio monastero e, soprattutto, si inserirono nel dibattito sulla sua imminente riedificazione. Per quel che riguarda la ricostruzione dei fatti che portarono a quel fatale incendio, non possiamo esimerci dal citare un’opera molto esaustiva e al contempo particolare. Trattasi della “Collezione degli articoli pubblicati del diario di Roma relativi alla nuova fabbrica della basilica di San Paolo” (Rev. Cam. Apost., 1845), una sorta di bollettino in cui vengono riportate tutte le vicende in merito alla basilica, dal luglio 1823 al mese di dicembre del 1845. Per quanto concerne la nostra trattazione, fondamentali sono i primi sei diari dello stesso 1823: sei “comunicati”, diremmo oggi, redatti presumibilmente dallo stesso autore, o “inviato”, che, anche nel resto dell’opera, risulta anonimo.

Il primo diario, il numero 56, è ovviamente quello del giorno seguente l’incendio, mercoledì 16 luglio, quello del semplice “annunzio” dell’incidente, secondo il quale «… alcuni stagnari, i quali nel far jeri diversi lavori sul tetto della Basilica di san Paolo fuori le mura lasciarono cadere de’ carboni accesi da una padella, si è nella scorsa notte appiccato il fuoco al soffitto della detta Basilica.» Il nostro inviato tornerà sull’argomento il successivo sabato 26 luglio con il diario numero 59, il più lungo, dove dedica maggiore attenzione alla cronaca di quella notte. In quei caldi giorni di luglio Pio VII aveva ordinato il restauro di una parte del tetto e il compito dei due malcapitati stagnari era quello di «… porre i canali di rame alle grondaje del tetto della grande navata, situata all’occidente…». Secondo tale ricostruzione, prima delle ore 23 i due stagnari, finito il lavoro, si allontanarono prendendo la via Ostiense verso Roma, lasciando sul tetto la padella con i tizzoni ancora ardenti. In base alle diverse testimonianze raccolte, l’autore del bollettino riportò anche il presunto orario in cui le fiamme cominciarono a divampare.


L’incendio non era iniziato alle ore 24, l’ora dell’ultima funzione del sacrestano don Isidoro Ferri e neanche dopo l’una di notte, stando alle testimonianze di altri due individui, un mercante di nome Laici e del sottocurato don Martino Testa, che di ritorno da fuori Roma lungo la via Ostiense non avvertirono alcun pericolo sul tetto di San Paolo. Fu probabilmente nelle tre ore successive che il fuoco prese a divampare sulla sommità della basilica. Come riportato da tutte le altre cronache del tempo, il nostro “inviato” ci narra del mandriano che, alle quattro inoltrate, lanciò l’allarme: «…solo alle quattro ed un quarto della notte un buttaro del mercante Giuseppe Perna, il quale custodiva del bestiame nel prato grande sotto le mura del monastero, vide del fuoco sopra il tetto grande della Basilica e, senza frapporre indugio, corse a battere al portone del monastero e gridare sotto le finestre…». Ma la tempestività del buttaro venne eguagliata “dall’eroismo” dell’ortolano Pietro Battisti e dei due chierici: «… il detto ortolano co’ due preti e i due chierici si portarono nella chiesa, e procurarono di fare un qualche argine al fuoco divoratore, e due de’ medesimi, con sommo rischio della loro vita, si recarono sul campanile per suonarvi le campane a martello, onde sollecitare ajuto…». Leggerle adesso queste note può far sorridere. Eppure, come nel resto del comunicato, non mancano dettagli e informazioni sulle ultime e travagliate ore di quella tragica notte. La cavalleria del corpo dei pompieri arrivò con troppo ritardo e i pochi spettatori, compreso i preti del monastero (tutti tratti in salvo) e i contadini del circondario, videro pezzo per pezzo crollare la basilica, senza poter far nulla.


Le altre note, che chiudono il 1823, sono molto più brevi. La numero 60 è del mercoledì 30 luglio e richiama un caso di due “morti bianche” e cioè di due muratori uccisi dal crollo di un muro mentre stavano, appunto, puntellando le rovine della basilica. Nella notizia numero 31 del giorno seguente il nostro autore si lascia andare a una analisi “di costume” e cioè di un analogo incendio che, nel XIV secolo, si materializzò nella basilica di San Giovanni in Laterano (forse richiamandosi all’incendio avvenuto il 6 maggio del 1308). Citando un passo di Cesare Rasponi nel suo “De Basilica et patriarchio lateranensi(1656) emergono incredibilmente la stessa “padella rovesciata di fuoco” sul tetto della basilica che subì danni molto ingenti. Una coincidenza che ne ricorda un’altra, posta in evidenza da Carlo Fèa in “Aneddoti sulla basilica Ostiense di San Paolo(1825): nel 1115 un fulmine colpì il tetto della basilica bruciandone parzialmente il tetto; a distanza di pochi mesi la stessa sorte toccò alla basilica lateranense con un fulmine terribile che sconquassò il campanile che necessitò successivamente delle riparazioni. Tornando alla nostra “Collezione”, l’ultima nota, la numero 87 del 31 ottobre, ci ricorda della visita di due giorni addietro del neo eletto papa Leone XII, successore di papa Pio VII, Luigi Chiaramonti, morto il 20 agosto in seguito ad una caduta sopraggiunta alle già critiche condizioni di salute. Proprio quest’ultimo pontefice si era formato nell’ordine benedettino dell’abbazia di San Paolo ma non poté occuparsi della sua amata basilica e, forse, di quella sciagurata tragedia non ne venne mai informato.

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