lunedì 6 luglio 2015

La “seconda” battaglia di Porta San Paolo


Il ricordo degli scontri del luglio 1960 quando tutte le forze antifasciste si opposero al governo Tambroni

Tratto da coreonline.it

Centinaia di persone arrestate, ottanta feriti tra le forze dell’ordine, più di dieci ore di interminabili scontri tra le vie dei quartieri Ostiense e Testaccio. Questo fu il bilancio di una vera e propria guerriglia urbana, quella del 6 luglio di cinquantacinque anni fa, quando all’ombra di Porta San Paolo un folto numero di studenti, lavoratori, ex partigiani e deputati comunisti e socialisti manifestarono contro il governo filo-missino del democristiano Tambroni.

Risveglio dei fantasmi. Sono gli anni del “miracolo economico”, il ’68 non è neanche un miraggio. In un’Italia solo apparentemente distratta dal primo accenno di stabilità economica, dalle accessibili FIAT 500, dalle nuove case assegnate, si fece largo un nuovo governo democristiano, filo monarchico e con marcate aperture a destra. Succeduto alla fine di marzo 1960 al dimissionario Segni, il “governo provvisorio” di Fernando Tambroni ottenne la fiducia per un pugno di voti, quelli dei deputati missini. L’entrata in scena delle realtà neofasciste rappresentò una novità pericolosa, frutto di una prima vera “crisi del centrismo”, che a soli quindici anni di distanza dalla fine del secondo conflitto mondiale rischiava di “rompere un equilibrio, di risvegliare dei fantasmi” (“La guerra civile” di Giovanni Fasanella, Giovanni Pellegrino). La misura si colmò già alla fine di giugno nella città di Genova, dove avrebbe dovuto svolgersi il VI° congresso del MSI. Il capoluogo ligure, città simbolo della Resistenza contro il nazifascismo, rispose con una grande sollevazione di massa, impedendo il congresso missino ed inaugurando una mobilitazione antifascista che, nei giorni successivi, si sarebbe allargata a tutta la penisola.

La vigilia romana. «Roma non è solo la città della “dolce vita”!». Questo uno degli slogan che emersero dal IX° congresso della FGCI. Già nella giornata di martedì 5 luglio centinaia di lavoratori delle fabbriche e dei trasporti bloccarono la città con un imponente sciopero. Ma si trattò solo di una vigilia: per il giorno seguente il Consiglio Federativo della Resistenza, con l’adesione del PCI, PSI,PRI e radicali, stabilì un comizio contro il governo Tambroni in piazzale di Porta San Paolo, nel quartiere Ostiense. La notizia, non ufficiale, di un presidio missino nella piazza simbolo della Resistenza romana, la morte di un manifestante ucciso il giorno stesso dalla polizia a Licata, in Sicilia, e la mancata autorizzazione al comizio antifascista da parte della prefettura, contribuirono a rendere ancora più tesa la vigilia di quel caldo mercoledì di inizio luglio.


Guerriglia sotto la piramide. Intorno alle 9,30 del 6 luglio a Porta San Paolo si contarono già diecimila persone. Secondo la testimonianza di Aldo Natoli la prima carica delle forze dell’ordine ebbe luogo mentre una trentina di deputati, comunisti e socialisti, si accingeva a deporre una corona sotto la lapide che ancora oggi ricorda l’eroica resistenza contro le truppe nazifasciste del 10 settembre 1943. Idranti, lacrimogeni, reparti a cavallo, le cariche “di alleggerimento” non sortirono l’effetto sperato: operai, studenti e, soprattutto, ex partigiani organizzarono le loro difese, dando vita ad uno scontro che si protrasse per ore, fino a tardo pomeriggio. All’esasperazione dei manifestanti si unì la solidarietà dei residenti dell’Ostiense e Testaccio, soprattutto col sopraggiungere della sera quando nelle vie e nei portoni dello storico rione si scatenò una vera e propria caccia all’uomo nei confronti di chiunque (come si lesse sul “L’Espresso” pochi giorni dopo) non indossasse una cravatta. 

A sera inoltrata tornò la calma ma il bilancio fu pesantissimo: almeno duecento i fermati, altrettanti i feriti per entrambe le parti. Un poliziotto di trentuno anni, Antonio Sarappa, morirà due mesi dopo per le ferite riportate. Il 7 luglio, a Reggio Emilia, la polizia sparò a più riprese tra la folla, uccidendo cinque persone. Il giorno seguente altri tre manifestanti perirono sotto il fuoco delle forze dell’ordine a Palermo e Catania. Accusato della disastrosa gestione dell’ordine pubblico, Tambroni rassegnò le dimissioni il 19 luglio, portandosi dietro una delle pagine più tragiche dell’immediato secondo dopoguerra. Morirà di infarto tre anni dopo.


Giovani, nuovi, sconosciuti. Il “luglio ’60”, a cinquantacinque anni di distanza, sembra una data dimenticata, messa in ombra dagli eventi che la succedettero, come il ’68, il ’77 e via dicendo. Nella nostra stessa città, gli scontri di Porta San Paolo vennero ben presto oscurati dalla grandiosa manifestazione olimpica e dalle gesta di Muhammad Ali, Livio Berruti e Abebe Bikila. Eppure le grandi mobilitazioni di quei giorni sancirono, in uno dei momenti più controversi del nostro paese, i valori dell’antifascismo e della democrazia, da quel momento due principi non più scontati bensì da difendere. E per quanto riguarda quella strana generazione di ventenni, i c.d. ragazzi con le magliette a strisce, che scesero per le strade al fianco dei partigiani, ci piace ricordarli così come li immortalò Carlo Levi, testimone d’eccezione di quei giorni: “Chi sono coloro che hanno in questi giorni cambiato, inattesi, le vicende, messo in moto una realtà italiana che sembrava stagnante, corrotta, senza uscite né speranze? Sono in gran parte dei giovani, dei nuovi, degli sconosciuti, dei ventenni” (cit. in “Storia del miracolo italiano” di Guido Crainz). Forse non costituirono una “seconda Resistenza”, come lo scrittore torinese li appellò forse avventatamente, ma furono proprio i “fratelli maggiori” del ’68, con il loro “inatteso” antifascismo, a scrivere una pagina importante della nostra storia.

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