sabato 21 novembre 2015

Sulle strade di Piero Bruno, 40 anni dopo


Il ricordo del giovane militante di Lotta Continua, ucciso dai carabinieri il 22 novembre del 1975

Tratto da coreonline.it

Dietro al ricordo di Piero Bruno c’è la storia delle periferie romane degli anni ’70. La stessa Garbatella era un quartiere in continuo fermento, dove l’animo popolare e storicamente antifascista si fondeva con l’entusiasmo delle nuove generazioni: «si faceva tutto quello che andava fatto nell’Italia di allora – ricorda Erri De Luca nel bel documentarioPiero Bruno ragazzo” – per farla camminare un po’, per cambiare i rapporti di forza nella società, nei quartieri, nei posti, caso per caso, palazzo per palazzo». È in quella prima metà degli anni ’70 che il giovane studente dell’istituto tecnico Armellini si accosta alla neonata sezione di Lotta Continua della Garbatella, subentrata nel 1973 al Gruppo Gramsci nella sede di via Passino 20. Tra lotte di quartiere e internazionalismo, Piero giunse alle porte dell’inverno del 1975 che aveva appena compiuto diciotto anni. Per il 22 novembre venne indetta una manifestazione per l'Angola, una nazione in attesa del riconoscimento internazionale della sua indipendenza ma tenuta sotto scacco dei mercenari dello Zaire, altra pedina chiave degli interessi occidentali nel cuore del continente africano.


Il corteo partì da piazza Santa Maria Maggiore alle ore 17 e 30. Stando alle cronache di allora, i manifestanti superarono abbondantemente quota 2000, tra di loro c’era anche Piero Bruno. Percorsa una parte di via Labicana una quindicina di giovani si staccarono dal corteo: salirono le scale che portano in largo Mecenate, qualcuno con delle bottiglie molotov. Nel contesto signorile delle palazzine racchiuse tra via Merulana e Colle Oppio si trovava l’ambasciata dello Zaire. Un’azione simbolica, volta nella peggiore delle ipotesi al danneggiamento della cancellata dello stabile, che si trasformò in una trappola per i manifestanti. L’ambasciata era fortemente presidiata, anche perché nelle vicinanze vi si trovava una sede del Msi. Quello che avvenne nell’arco di pochi secondi fu chiaro già il giorno seguente: «I giovani si sono trovati di fronte lo schieramento dei carabinieri sulla destra e quello della polizia a sinistra, vicino all’ambasciata, e hanno messo di traverso due auto in sosta… – così recita l’articolo de L’Unità di domenica 23 novembre ’75   – a questo punto hanno lanciato due bottiglie incendiarie che sono andate a cadere nei pressi dei camion del CC e simultaneamente si è sentito il crepitio dei colpi di pistola sparati in rapida successione. Piero Bruno è stramazzato a terra». Le immagini si susseguirono veloci: Piero venne colpito alla schiena dai proiettili dei CC Pietro Colantuono e Bosio; un altro agente, Romano Tammaro, infierì su di lui mentre era a terra, sanguinante, strattonandolo e simulando un’esecuzione. Il diciottenne morì il giorno seguente presso l’ospedale San Giovanni.


Nonostante gli elementi chiari dell’omicidio di Piero e la testimonianza di una residente, non si arrivò nemmeno al processo. Erano gli effetti delle nuove “disposizioni a tutela dell'ordine pubblico” della legge Reale, promulgata nel maggio dello stesso anno. «La colpa della perdita di una vita umana è da ascrivere alla responsabilità di chi, insofferente della vita civile, democratica, semina odio tra i cittadini» (cit. “Le ragioni di un decennio. 1969-1979” di Giovanni De Luna). Così recitò la sentenza del giudice istruttore Lacanna che di fatto prosciolse i CC coinvolti nei tragici fatti di largo Mecenate. Se si eccettuano alcune testate di matrice comunista o di sinistra, Piero Bruno fu ricoperto d'infamia e etichettato come teppista, facinoroso ed eversivo. Un approccio molto simile alla morte di Carlo Giuliani, ucciso in piazza Alimonda nel 2001. In molti hanno accostato le due storie, tanto lontane nel tempo quanto vicine nella tragedia. «…nello stesso modo i media presentavano la morte di Carlo. Travestito con il passamontagna, Carlo aveva cessato di essere un ragazzo desideroso di libertà. Era diventato un teppista, che aveva cercato la morte seminando odio contro le istituzioni» (cit. “Romanzo Armato” di Pierluigi Raccagni).

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